2 punti in 5 gare ed un destino già segnato. L’Angoscia delle contestazioni e l’ologramma  

della C all’orizzonte: non poteva che essere ultimo in classifica l’Avellino, vittima sacrificale immolata sull’altare dell’improvvisazione programmatica.

Il tracollo interno contro il Cittadella ha palesato le mancanze strutturali della rosa biancoverde; una rosa farcita di carneadi stranieri, incompatibili, per giunta, con i dettami tattici del mister. Il tecnico irpino, ha sperimentato, per l’intero arco della preparazione, il 3-4-3 (inducendo De Vito ad acquistare uomini procedutici al sistema di gioco adottato); per poi ripiegare, a seguito di un precampionato disastroso, su un più abbottonato 3-5-2. Con la logica conseguenza di escludere dalla formazione titolare diversi elementi ormai avulsi dal contesto tattico, gettando alle ortiche due mesi di pre-season.

La società, dal canto suo, si è assunta scientemente il rischio di toppare la stagione, procedendo, nella sessione estiva, all’acquisto di calciatori per la quasi totalità ventenni, tesserati con la formula del prestito ed afflitti da evidenti difficoltà linguistiche e di ambientamento. Una strategia esiziale, in linea con il ridimensionamento del budget destinato al mercato e figlia della totale assenza di pianificazione. 

L’impressione è che Taccone abbia preferito monetizzare con le cessioni dei pezzi pregiati (Trotta a Gennaio e Biraschi) oltre ad introitare (e non reinvestire), a fine campionato, i succulenti premi di valorizzazione; il tutto a scapito della competitività della squadra. Un modus operandi in totale controtendenza con i proclami entusiastici che avevamo illuso la piazza solo un anno fa e che ha svilito le aspettative degli oltre 3.000 abbonati. Ma non bastavano i 7 milioni provenienti da lega, TV e le altre voci d'entrata?

 

L’esperienza degli anni scorsi avrebbe dovuto insegnare che la cadetteria va affrontata inderogabilmente con un mix di giovani promettenti (preferibilmente di proprietà) e diversi veterani per ruolo. L’Avellino di oggi, al contrario, è una masnada strimpellata senza né capo né coda: dalla porta, all’attacco passando per la difesa e il centrocampo. Con il fondato il sospetto che nemmeno Toscano abbia ancora capito quali siano i titolari da schierare il modulo di partenza da approntare.

I Lupi patiscono oltremodo l’assenza nella zona nevralgica di mediani incontristi, pedine in grado di ribaltare l’azione da difensiva in offensiva tranciando le trame nemiche ed innescando a dovere le punte. A tal proposito, stupisce, la cessione di Arini (sta giocando a livelli sublimi a Ferrara), la conferma di D’Angelo ed il reintegro di Soumarè.

Se il campo è il sommo giudice la totale assenza di tiri nello specchio nelle ultime partite è l’ennesimo sintomo dell’autolesionismo messo in atto dal sodalizio Irpino. Adesso per salvare capra e cavoli bisognerà reinvestire a Gennaio ciò che non si è speso a Luglio. Ed in caso di permanenza in B, l’Avellino, complici i prestiti, dovrà ripartire di nuovo da zero e ricostruire la squadra daccapo. A questo punto è impossibile non parafrasare un vecchio adagio, leit motiv del campionato dei biancoverdi: “o’ sparagno nun è mai guaragno”. Cui prodest?

  

di Maurizio de Ruggiero  

 

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