Taccone-Novellino. Novellino-Taccone. Un matrimonio combinato, addensato dal reciproco interesse. Una convivenza imposta da una vicendevole utilità. Da una parte, la necessità di raddrizzare le sorti di un campionato maledetto (lo scorso anno); dall’altra, la ghiotta opportunità di tornare in sella a 64 anni suonati. Non si sono mai amati presidente ed allenatore. Eppure, il Patron, all’indomani di una salvezza ottenuta all’ultimo respiro, aveva confermato a furor di popolo il mister garantendo un lauto contratto biennale da 250.000 Euro a stagione”.

Lo scrivemmo lo scorso 7 settembre, in occasione della disfatta di Cremona: la débâcle inaspettata (figlia anche di discutibili decisioni arbitrali) che sancì la rottura dell’idillio tra presidente e allenatore. Idillio culminato con il tardivo esonero di "Monzon" (in luogo di Foscarini) dopo una sequela interminabile di risultati negativi che hanno relegato l’Avellino ad un passo dal baratro: dalla doppia sfida con Salernitana, passando per la sconfitta interna ad opera del Parma, fino al triste epilogo col Bari. Un trend preoccupante che ha indotto De Vito a tornare sui propri passi congedando lo stesso mister che aveva confermato poche settimane prima contro la volontà di Taccone.

DIMISSIONI ATTESE E MAI ARRIVATE - In società, considerata la delicata situazione finanziaria e i modesti risultati sportivi, tutti confidavano nelle dimissioni del “Monzon”, osteggiato dai tifosi ma soprattutto dai calciatori, riluttanti ad assolverne i dettami tecnico tattici. Invece Novellino ha deciso di fare a pugni con l’evidenza, in barba alla logica, senza tener conto del malcontento della piazza che ne aveva invocato la riconferma dopo la rimonta dello scorso torneo.

Ad onor del vero gli innumerevoli infortuni non possono che rappresentare un’attenuante, anche se il tecnico, a dispetto dell’esperienza sbandierata, è stato incapace di fare di necessità virtù; di coagulare un gruppo coeso; di schierare gli uomini giusti al posto giusto; di alzare il baricentro della squadra; di affrancarsi da un calcio sconfessato dalla storia; di valorizzare gli stessi calciatori che aveva preteso nella sessione estiva di mercato. Al punto che negli ultimi mesi si è assistito ad una lenta agonia sublimata da partite meno interessanti di un cinepanettone natalizio, disputate da calciatori in piena fase catabolica.

Eppure la società, con tutti i suoi limiti, aveva accontentato il trainer in sede di mercato ingaggiando Morosini e Marchizza (al posto di Blanchard) e bloccando la cessione dell’ex pupillo Ardemagni, promesso al Novara per poi essere confermato all’ultimo respiro. Nonostante i propositi di inizio stagione qualcosa non ha funzionato (la regolare corresponsione degli stipendi ad esempio) e a nulla è valso il meticoloso lavoro estivo unito al rapporto sinergico con l’area tecnica diretta da Massimiliano Taccone ed Enzo De Vito.

Adesso è inutile piangere sul latte versato. Il campionato volge al termine, mancano nove tornate al traguardo ed già tempo di bilanci: l’esonero di Novellino ha letteralmente dissanguato i conti dell’Avellino - già violentati dal marchio d’infamia dei debiti - gravati anche per la prossima stagione da uno stipendio a dir poco esoso (500.000 Euro lordi, tanto costeranno le mancate dimissioni).

Il calcio, si sa è refrattario alle logiche della riconoscenza e come vuole la tradizione a pagare per tutti è sempre l’allenatore. Inutile dire che era auspicabile un atteggiamento diverso da parte del tecnico, uno scatto d’orgoglio degno di una persona genuina, legata all’Irpinia da un legame ancestrale svanito troppo presto. Difficilmente Avellino dimenticherà Novellino. Difficilmente Novellino dimenticherà la sua Avellino. Addio Mister. E’ stato bello, ma neanche tanto…

 

di Maurizio de Ruggiero

 

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