Crederci sempre, arrendersi mai. Signoreggiare, stupire e ritrovarsi ai quarti. A tre passi dal sogno. Contro i nemici di una vita. In barba alle profezie apocalittiche della vigilia. Non poteva chiedere di meglio Mister Conte, ebbro di gioia al culmine di una sfida leggendaria, al cospetto della “Furia Roja” delle meraviglie, tutto tiki taka e niente arrosto.

La vittoria agli ottavi è un propellente che regala agli azzurri nuova linfa, abnegazione e autostima: virtù imprescindibili per annientare l’armata tetragona teutonica, in grado di vincere il quarto titolo mondiale in Brasile solo due anni fa.

Missione impossibile sulla carta, a giudicare dall’eterogeneità delle truppe in campo: storia recente, valore della rosa, qualità degli uomini a disposizione, fanno sì che l'ago della bilancia penda dalla parte dei crucchi di Germania, con l’Italia nettamente sfavorita. Eppure ci sono tre buoni motivi per sostenere che una vittoria contro le “Die Adler” non sia una chimera di mezz’estate:  

1) LA MAGINOT - Quattro partite disputate, una sola rete incassata (con le riserve in campo) e una vita trascorsa in trincea: nessuna selezione europea può annoverare tra le proprie fila l’intera difesa titolare (da oltre un lustro) di una squadra di club del calibro della Juventus, dominatrice indiscussa del proscenio tricolore. Buffon, Barzagli, Bonucci e Chiellini formano un blocco monolitico in grado di fare incetta di vittorie e trofei senza soluzione di continuità. Senza dimenticare Ogbonna, ex bianconero pronto a subentrare alla bisogna. Se la mancanza d’intesa è il tallone d’Achille di ogni nazionale, l’Italia ha trovato nella premiata ditta siglata BBC la sua arma più acuminata: la scarsità di azioni offensive create da Belgio, Svezia, Irlanda e Spagna lo dimostra.

2) IL CONTISMO - L'aspetto motivazionale è di vitale importanza in una competizione a tappe. Al di là di ogni tatticismo esacerbante da salotto televisivo. Per informazioni chiedere all’Inghilterra di Hodgson, disarcionata dalla sella europea dai carneadi Islandesi senza colpo ferire. Non sarà sfuggito ai più che, come spesso accade, in questo scorcio di torneo, i tecnici avversari abbiano patito la complessità di coagulare un gruppo compatto in una finestra temporale ristretta. A Conte, invece, va riconosciuto il merito di aver plasmato con solerzia una compagine affiatata e caparbia e di aver temprato calciatori modesti reduci, peraltro, da annate indegne con le squadre di provenienza. Ricordate le prestazioni disastrose di De Sciglio al Milan e l’astinenza cronica di Eder all’Inter? O le esitazioni di Darmian?

3) LA CABALA - Vince sempre l’Italia, ma ora ci aspetta un’altra Germania, rinnovata negli interpreti e nella mentalità. Meglio archiviare lo stereotipo dei panzer traboccanti di birra dall’andatura caracollante, ossessionati dalla "Jahrhundertspiel" di Messico 1970, ed affrancarsi da un passato intriso di successi e delizie. Le statistiche odierne raccontano di una squadra giovanissima, inscalfibile (nessuna rete incamerata); ingemmata di grandissimi calciatori, rispettivi leader delle corazzate più forti del vecchio continente.

E’ innegabile, i tedeschi, Beckenbauer in primis, avrebbero evitato volentieri l’incrocio con gli azzurri: come nel 1970, come nel 1982, come nel 2006 e nel 2012. Perché l’Italia, con la Germania, ha perso solo da alleata…

 

 di Maurizio de Ruggiero

 

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